Sotto l’ambasciata Usa individuato uno dei primi graffiti cristiani ai tempi delle persecuzioni romane
Città del Vaticano – Una incisione scavata nell’intonaco, precisa e netta. Una X sovrapposta alla lettera P. La combinazione di lettere dell’alfabeto greco che formano le iniziali del nome di Cristo. Proprio sotto la sede dell’ambasciata Usa, in Via Veneto, in corrispondenza alla parte confinante con via Friuli, dove si trovavano gli Horti Sallustiani, abitati in epoca romana da personaggi altolocati dell’Impero, è stato ritrovato un Chrismon, il monogramma di Cristo, ritenuto importante perché si trova in una area pubblica e non catacombale, gettando di conseguenza una nuova luce sulla diffusione della religione cristiana agli albori del suo cammino. Il graffito rintracciato in un criptoportico è considerato dagli studiosi piuttosto unico perché sembra dimostrare di come la religione cristiana venisse professata anche tra le classi agiate romane e non solamente dai ceti più poveri e dagli schiavi. Tale genere di graffiti costituivano di fatto una sorta di messaggio in codice per non cadere vittime di possibili delatori. In tal modo era possibile capire se in un tale ambiente erano presenti altri correligionari. «Evidentemente i cristiani apponevano graffiti con precise finalità, e il monogramma di Cristo aveva una propria sacralità. Questo graffito doveva in qualche modo esprimere un messaggio» ha spiegato Pier Luigi Guiducci, professore di storia della Chiesa al Laterano e autore di uno studio effettuato nell’area degli Horti Sallustiani. Forse era un portafortuna, chissà, o forse anche un trionfo, una sorta di affermazione di gloria, come se fosse una risposta polemica a quanti professavano altri culti. Meno probabilmente, invece, era l’indicazione di martirio. «Noi sappiamo che durante le persecuzioni anti-cristiane il Chrismon era un segnale preciso rivolto ai correligionari in pericolo o anche per proteggere qualcuno dalla pubblica autorità». Guiducci però non esclude un’altra ipotesi, che quei segni sull’intonaco fossero opera di militari o di personale in servizio presso funzionari pubblici, anche se è innegabile che importanti personalità romane dell’epoca aderirono di nascosto alla nuova religione benché, visti i rischi, non erano certo desiderosi di esternare questa appartenenza in virtù della posizione che ricoprivano. Di sicuro quel graffito non fu fatto per caso né tantomeno per gioco: difficilmente un cristiano lo lasciava come semplice ricordo di una visita, un po’ come potrebbe accadere oggi con le firme che tanti turisti scarabocchiano sui monumenti.
Il criptoportico risalente alla seconda metà del I secolo fu rinvenuto in una zona compresa tra via Lucullo e Via Friuli negli anni Cinquanta durante i lavori di costruzione di un garage. «Fu un evento non marginale». Il corridoio nascosto faceva parte di una vasta proprietà indicata con il nome di Horti Sallustiani. Nei successivi lavori di riqualificazione ambientale nel 2006 furono individuati resti di ulteriori strutture antiche ma negli anni Cinquanta non furono fatte ricerche nel criptoportico. Solo negli anni Novanta l’archeologa Federica Festuccia ha potuto realizzare alcuni scavi per verificare lo sviluppo planimetrico del sito. Un decennio dopo è stata fatta un’altra campagna di studi dove gli esperti hanno analizzato, tra i graffiti trovati, anche quelli che si possono ricondurre al simbolismo cristiano e a quello ebraico.
Furono individuati una Menorah, la lampada ad olio a sette braccia, e un monogramma di Cristo, collocato non in un ambiente catacombale ma in una area pubblica. Guiducci si è soffermato sul contesto, mettendo in collegamento il graffito con il quadro complessivo del ritrovamento. Il graffito a suo parere resta opera di un cristiano che probabilmente era a servizio della famiglia imperiale e che voleva trasmettere un messaggio ad altri cristiani. Un messaggio cifrato. Una segnalazione di identità e di presenza.
Proprio sotto la sede dell’ambasciata Usa, in Via Veneto, in corrispondenza alla parte confinante con via Friuli, dove si trovavano gli Horti Sallustiani, abitati in epoca romana da personaggi altolocati dell’Impero, è stato ritrovato un Chrismon, il monogramma di Cristo, ritenuto importante perché getta una nuova luce sulla diffusione della religione cristiana agli albori. Il graffito rinvenuto in un criptoportico è considerato dagli studiosi piuttosto unico perché dimostrerebbe come la religione cristiana venisse professata anche tra le classi agiate romane e non solamente dai ceti più poveri e dagli schiavi. Tale genere di graffiti, infatti, costituivano una sorta di messaggio in codice.
(da “Il Messaggero”)
Per ulteriori informazioni: https://www.ilmessaggero.it/primopiano/vaticano/roma_cristiani_impero_romano_graffiti_persecuzioni_ambasciata_usa_archeologia-3599788.html
“La Dolce Vitti”: una mostra al Teatro dei Dioscuri al Quirinale celebra la donna e l’icona Monica Vitti
Dall’8 marzo al 10 giugno 2018 una mostra al Teatro dei Dioscuri celebra Monica Vitti. Otto grandi veli fotografici in bianco e nero da attraversare, con la Divina Monica in primissimo piano, tra scena e fuori scena, mentre la sua voce così unica racconta perché sia diventata attrice (“Adoro la sincerità, la realtà, rappresentarmi mi dava la possibilità di vivere più vite”). E’ l’entrata immersiva de La dolce Vitti, la mostra multimediale dedicata a una delle interpreti simbolo del nostro cinema, a Roma dall’8 marzo al 10 giugno al Teatro dei Dioscuri al Quirinale. La grande attrice, 86 anni, ammalata da tempo, si è ritirata dalle scene dall’inizio degli anni ’90 ed è apparsa in pubblico per l’ultima volta nel marzo del 2002, alla prima teatrale italiana di Notre-Dame de Paris a Roma.
Curata da Nevio De Pascalis, Marco Dionisi e Stefano Stefanutto Rosa, ideata e organizzata da Istituto Luce Cinecittà, l’esposizione esplora la personalità e l’universo artistico di Maria Luisa Ceciarelli in arte Monica Vitti, in diversi capitoli: dall’Accademia, dove un suo grande maestro, Sergio Tofano, scopre il suo talento comico, al teatro, insieme fra gli altri ad Albertazzi diretta da Zeffirelli e anni dopo con Rossella Falk; dal doppiaggio (con tanto di postazione di video-ascolto) anche per Fellini e Pasolini all’incontro fondamentale, sentimentale e artistico con Michelangelo Antonioni, che la dirige in capolavori come L’avventura, La notte, L’eclisse, Deserto rosso e la ritrova nello sperimentale il mistero di Oberwald. “Per me è stato un padre, un fratello, un amico. Era tutta la mia vita, perché mi sentivo estremamente sicura vicino a lui, poi mi guardava con degli occhi che erano talmente pieni di attenzione…. – ha detto Monica Vitti -. Le storie sono nate dalla nostra vita, da lui e da me. Tutto cominciò insieme”.
Si prosegue con la svolta della commedia che ha come simbolo La ragazza con la pistola di Mario Monicelli (uscito 50 anni fa) e viene portata avanti con registi come Scola, Risi, Steno, Salce, per 40 film tra anni ’60 e ’70. “Monica Vitti ha interpretato donne di tutte le estrazioni sociali, borghesi e popolari, spesso alla ricerca di autonomia e indipendenza” spiega Stefano Stefanutto Rosa. Senza dimenticare le prove da autrice e regista con gli altri due grandi amori della sua vita, Carlo Di Palma, e il marito, sempre accanto a lei anche in questi ultimi anni segnati dalla malattia, Roberto Russo, da cui vengono anche alcune immagini della mostra (accompagnata anche dall’uscita di un omonimo volume) che ha visitato nell’abituale riserbo.
Un ritratto della donna e dell’icona che prende forma grazie a oltre 70 foto (molte rare, provenienti oltre che dall’Archivio Luce, da quelli, fra gli altri, dell’Accademia Silvio D’Amico, del centro Sperimentale, di Elisabetta Catalano, Umberto Pizzi e Enrico Appetito); libri ‘espansi’ in digitale da sfoglia; documenti inediti, locandine, copioni, sue copertine famose in Italia e all’estero; interviste video e apparizioni televisive da Milleluci a Domenica in; interventi di amici e colleghi, di chi l’ha amata e conosciuta (fra gli altri, Giancarlo Giannini, Michele Placido, Dacia Maraini). Fino a tanti filmati d’archivio e alcuni dei film più importanti della sua carriera (L’avventura, La ragazza con la pistola, Dramma della gelosia, Teresa la ladra, Flirt) che è possibile scoprire o rivedere nella sala cinema del Teatro. (da Ansa)
Per saperne di più: http://www.060608.it/it/eventi-e-spettacoli/mostre/la-dolce-vitti.html
8 marzo: musei gratis per tutte le donne
Anche quest’anno per l’8 marzo tutti i musei e luoghi della cultura statali apriranno le loro porte gratuitamente alle donne. Una giornata di festa che il Ministero dei Beni e delle Attività e del Turismo, guidato da Dario Franceschini, celebra, insieme alle aperture gratuite, con un’apposita campagna di comunicazione social e una galleria di donne eccezionali, la cui fama ha attraversato i secoli anche grazie all’arte e alla cultura.
Sante e prostitute, dee e popolane, intellettuali e artiste, attrici e martiri, scrittrici e poetesse, madri, madonne e rivoluzionarie: la campagna social del Mibact, in occasione dell’8 marzo, celebra il mondo femminile, attraverso le sue rappresentazioni più significative nell’arte, puntando i riflettori sulle vite delle donne che hanno fatto la storia. Oltre trenta locandine digitali – selezionate dagli storici dell’arte del principali Musei Italiani – animeranno infatti il profilo Instagram di @Museitaliani da oggi fino all’8 marzo, data in cui l’ingresso nei musei e nei luoghi della cultura statali sarà gratuito per tutte le donne, in tutta Italia. Dipinti, sculture, stampe, busti, reperti archeologici e ritratti che celebrano il “femminile” saranno dunque i protagonisti della campagna social: da Sofonisba Anguissola, una delle prime esponenti della pittura europea, ritrattista alla Corte di Filippo II di Spagna, a Ofelia, il personaggio shakespeariano e tragica eroina, che ha ispirato nei secoli pittori e poeti e che qui prende le forme della scultura in gesso di Arturo Martini conservata alla Pinacoteca di Brera, il busto di Madame de Stael, l’intellettuale liberale francese che ha animato i salotti letterari e fautrice del romanticismo europeo, e ancora il dipinto pompeiano di Saffo – conservato al Museo Archeologico Nazionale di Napoli – la poetessa greca che ha tradotto in versi l’erotismo femminile, Cleopatra ritratta da Giovan Francesco Guerrieri, la celeberrima regina seduttrice e amante appassionata, che secondo la versione classica di Plutarco, morì suicida con il morso di un serpente, e ancora, tra le tante altre protagoniste della galleria di immagini, Jane Burden Morris, modella, musa dei preraffaelliti e moglie dell’artista e architetto britannico William Morris, la scultura di Eleonora Duse – conservata a Palazzo Pitti – attrice amata dal pubblico e osannata dalla critica, e protagonista in vita dell’amore tormentato con il poeta Gabriele d’Annunzio, fino alle Tre Età della donna, il capolavoro dell’artista austriaco Gustav Klimt, simbolo delle tre fasi della vita femminile.
Anche per questa iniziativa l’invito rivolto ai visitatori è quello di una vera e propria caccia al tesoro digitale nei musei italiani, muniti di smartphone o macchina fotografica, alla ricerca di donne in dipinti, sculture, vasi figurati, arazzi e affreschi delle epoche e delle collezioni più disparate. Tutti possono condividere le proprie foto con l’hashtag #8marzoalmuseo e invadere i social con opere da tutta Italia, seguendo un filo rosso che unisce, nella bellezza, le straordinarie collezioni statali. Grande attesa di presenze e partecipazioni, anche per l’appuntamento con la domenica al museo che si rinnova il prossimo 5 marzo. La campagna è promossa su tutti i social network del Mibact e dei musei statali, ma ha il suo cuore nel profilo instagram @museitaliani, nato lo scorso agosto, in occasione delle Olimpiadi di Rio, per rilanciare le opere del patrimonio culturale italiano dedicate allo sport.
(Da “Beniculturali.it”)
Per informazioni: http://www.museiincomuneroma.it/servizi/news/l_arte_festeggia_le_donne_8_marzo_al_museo_per_tutte_ingresso_gratuito_nei_musei_civici_della_capitale
Curiose riflessioni. Jean-François Niceron, le anamorfosi e la magia delle immagini
Le Gallerie Nazionali di Arte Antica di Roma presentano dal 7 marzo al 10 giugno 2018, nella sede di Palazzo Barberini, la mostra Curiose riflessioni. Jean-François Niceron, le anomorfosi e la magia delle immagini, a cura di Maurizia Cicconi e Michele Di Monte.
L’esposizione, incentrata sulle opere dell’artista conservate al museo, si inserisce nel progetto di valorizzazione delle collezioni permanenti e in un programma di divulgazione didattica e scientifica che nel 2018 sarà dedicato ai rapporti tra Arte, Geometria e Matematica.
L’anamorfismo è un effetto di illusione ottica per cui un’immagine appare distorta e diventa comprensibile solo ponendosi nell’unico corretto punto di osservazione, oppure attraverso uno strumento apposito che ne restituisca la giusta lettura.
La teoria e la pratica dell’anamorfosi raggiungono la loro più considerevole fortuna in età Barocca: costituiscono il culmine tecnico della dottrina prospettica cinquecentesca, effetto dei progressi compiuti nel campo della geometria proiettiva e dell’ottica. La fortuna delle anamorfosi trova una profonda e congeniale connessione con l’estetica seicentesca, con la sua ossessione per il tema dell’illusione, dell’ossimoro, del paradosso e del contrasto, e soprattutto con quella tenace metafora “radicale” che riconosce all’esperienza visiva, e non solo quella artistica, una natura essenzialmente “spettatoriale”.
Uno dei più interessanti protagonisti di questa complessa congiuntura è il matematico e teologo francese Jean-François Niceron (Parigi 1613 – Aix-en-Provence 1646), entrato in giovane età nell’ordine dei Minimi di San Francesco di Paola e dedicatosi altrettanto precocemente allo studio dell’ottica e della prospettiva.
Niceron pubblicò nel 1638 il celebre trattato La Perspective curieuse, magie articielle des effets merveilleux de l’optique par la vision directe, poi ripubblicato in edizione estesa e tradotta in latino nel 1646, con il titolo di Thaumaturgus opticus, ristampata in francese nel 1652.
Niceron non fu solo un teorico della prospettiva, ma lasciò anche dei saggi concreti della sua “magie artificielle”, tra cui il famoso affresco anamorfico di San Giovanni a Patmos, realizzato nei corridoi del convento romano di Trinità dei Monti. Sulla scorta dei precoci esperimenti del celebre pittore francese Simon Vouet (Parigi 1590 – Parigi 1649), egli realizzò anche alcune anamorfosi circolari osservabili solo tramite uno specchio cilindrico.
Quattro di questi dipinti, datati intorno al 1635, sono conservati nei depositi di Palazzo Barberini, e sono stati raramente esposti al pubblico, anche per la difficoltà pratica di consentire l’effettiva fruizione dell’immagine rappresentata.
In mostra saranno esposti due esemplari delle opere a stampa del frate francese, La Perspective curieuse e il Thaumaturgus opticus, accompagnate da un dispositivo che permetterà la consultazione e l’esplorazione diretta di una versione digitale dei testi, illustrati da un ricco corredo di tavole, disegni e diagrammi. Oltre ai due volumi, sarà presente anche il curioso “canocchiale anamorfico” di Niceron, che consentirà al pubblico di scoprire come vedere un’immagine che non c’è.
(Da “barberinicorsini.org”)
Per informazioni:http://www.barberinicorsini.org/evento/curiose-riflessioni-jean-francois-niceron-le-anamorfosi-e-la-magia-delle-immagini/
Roma, scavi metro Amba Aradam: scoperta la domus del centurione
Dalla terra dove si sta scavando la fermata della metropolitana di Amba Aradam, sotto viale Ipponio, spuntano nuove meraviglie: altri due edifici della caserma con i dormitori dei soldati imperiali del II secolo scoperta due anni fa, questa volta a 12 metri di profondità, tre in meno, un’area di servizio e la splendida domus del centurione, il comandante. “E forse” suggerisce l’archeologa Rossella Rea “tutta la struttura potrebbe essere una di quelle che sappiamo ospitavano milizie speciali, i servizi segreti dell’imperatore”.
Subito gli archeologi della soprintendenza guidata da Francesco Prosperetti hanno capito che i nuovi resti erano una parte integrante del complesso militare. Infatti formano due ali rispetto al dormitorio e sembrano costruite sempre in età adrianea, agli inizi del del II secolo d.C., contemporaneamente alle stanze dei soldati, e poi ristrutturate.
Ma il gioiello, su un terreno che declinava verso il nord, in direzione di un piccolo fiume che scorreva ai piedi della cinta delle Mura Aureliane che ancora non erano state costruite (“si chiamava Aqua Crabra” spiega l’archeologa Simona Morretta “serviva per irrigare gli orti e poi si dirigeva verso il Tevere”), è la casa, il grande alloggio del comandante della caserma dell’imperatore Adriano.
Eccolo, imponente, un edificio rettangolare di circa 300 metri quadrati, che prosegue oltre la paratia nord della stazione, per ora il limite dello scavo. Ecco i gradini che immettono nel corridoio, il pavimento di “opus spicatum”, i mattoncini a spina di pesce tipici dell’epoca, ecco quattordici stanze intorno a una sorta di cortile centrale, e i resti di quella che era una fontana con vasche e che probabilmente sosteneva una scultura da cui zampillava l’acqua.
Ma incredibili sono i pavimenti a quadrati di marmo bianco e ardesia, che gli archeologi chiamano “opus sectile”, poi un tripudio di mosaici, quelli dell’amorino e del satiro, e intorno le pareti decorate con intonaci colorati o bianchi. Non solo. Una delle stanze doveva essere riscaldata e infatti sotto il pavimento sono state ritrovate le “suspensurae”, pile di mattoni che formavano un’intercapedine per il passaggio dell’aria calda.
Lo scavo ha riportato alla luce anche i resti di una scala che serviva, nell’ultimo periodo, per salire al piano superiore, con uffici o altri dormitori di soldati.
Ma non è finita. C’è un’area di servizio. E anche qui un susseguirsi di pavimenti in mattoncini, vasche, canalizzazioni dell’acqua e una soglia in blocchi di travertino. Probabilmente serviva per accogliere delle merci da conservare. E la terra ha restituito, come un anno fa a via della Ferratella, elementi di legno miracolosamente conservati, i resti delle tavole usate per le fondazioni, travi e travetti dei carpentieri di allora buttati dentro delle fosse e pure coperture di piccoli canali.
“Abbiamo anche ritrovato” racconta Morretta “oggetti di uso comune, anelli d’oro, un manico d’avorio intarsiato di un pugnale, amuleti e i bolli laterizi che ci hanno fatto datare i resti e capire che ci furono numerose ristrutturazioni nel tempo”. I due nuovi edifici, come il dormitorio dei soldati, furono abbandonati e poi rasati a un metro e mezzo di altezza dopo la metà del III secolo, quando nel 271 si cominciarono a costruire le fortificazioni delle Mura Aureliane e le costruzioni esterne, che potevano dar riparo ai nemici, dovevano essere abbattute.
“L’importanza della scoperta” spiegano gli archeologi “si deve alla complessità e allo stato di conservazione dei castra, nonché alla loro posizione, che integra tutta la cintura di edifici militari rinvenuta tra Laterano e Celio: i Castra Priora Equitum Singularium in via Tasso, i Castra Nova Equitum Singularium che sotto la basilica di San Giovanni in Laterano, i Castra Peregrina al di sotto della chiesa di Santo Stefano Rotondo e la statio della V Coorte dei Vigili presso la chiesa di Santa Maria in Domnica. Si tratta di un vero e proprio quartiere militare, edificato soprattutto con l’imperatore Traiano, agli inizi II secolo d.C”, di cui ora riappare un altro insediamento”.
“Adesso anche i nuovi resti, come è stato fatto per gli altri, saranno smontati entro una quindicina di giorni” conclude il soprintendente Prosperetti “per permettere ai lavori della metropolitana, che non sono stati interrotti, di continuare, e poi saranno rimontati tutti insieme all’interno della stazione museo disegnata dall’architetto Paolo Desideri. Si sta rivedendo il progetto proprio per considerare l’inserimento delle recenti scoperte. Ma una cosa è certa: questa sarà la stazione archeologica della metropolitana più bella del mondo”. (da “La Repubblica”)
Roma, recuperata la statua di Afrodite rubata nel 2011: tombarolo di Ladispoli l’aveva venduta all’estero
Una statua di Afrodite del I secolo d.C., un tombarolo di Ladispoli, un trafficante tedesco, un giro d’affari di antichità di provenienza illecita. Sono gli elementi dell’indagine portata avanti dai Carabinieri del comando Tutela patrimonio culturale, che ha riportato in Italia la statua acefala (valore commerciale di 350mila euro) rubata nell’agosto del 2011 da un’aula dell’Università di Foggia. Un rientro, ça va sans dire, proprio per San Valentino.
Tutto è iniziato nel 2013, quando era stata notata la messa in vendita, da parte di una casa d’aste bavarese, di un reperto che appariva di chiarissima origine italica. Il confronto con le foto della Banca Dati dei beni culturali rubati fece il resto, permettendo ai militari di identificare l’oggetto. L’identificazione della statua trafugata in Puglia, grazie alla collaborazione della polizia tedesca, ha permesso di arrivare ad un trafficante tedesco, e ad un intero complesso traffico di tesori archeologici. Il venditore della statua di Afrodite, infatti, è un signore di Ladispoli, in provincia di Roma, che gestiva una sorta di supermarket di reperti sia scavati illegalmente che rubati. A fare affari con lui, anche un secondo personaggio che si occupava delle consegne all’estero in particolare al mercante tedesco, che poi a sua volta, rivendeva tutti i preziosi sul mercato nero.
Il contrabbandiere tedesco, hanno spiegato gli investigatori, veniva spesso in Italia per valutare reperti scavati di frodo e scegliere i pezzi migliori da rivendere in Germania. Già nel 2016, tutti i protagonisti di questa vicenda, sono stati arrestati e nello stesso tempo sono stati recuperati oltre 2.500 reperti. Mancava all’appello solo la bella Afrodite, che è stata finalmente restituita in questi giorni grazie ad una rogatoria internazionale avviata dalla Procura della Repubblica di Roma. Quanto prima, assicurano gli investigatori, la scultura potrà di nuovo essere esposta e ammirata.
(da “Il Messaggero”)
Per ulteriori informazioni: http://www.ilmessaggero.it/roma/cronaca/roma_recuperata_l_antica_statua_di_afrodite_rubata_nel_2011_a_contrabbandarla_all_estero_un_tombarolo_di_ladispoli-3547994.html
Roma, scempio in piazza Caprera: dal liberty al vetrocemento. Ruspe sul villino sotto tutela
È una palazzina del 1908 immersa nel verde, un villino nato come abitazione che poi ha sempre ospitato scuole, ma ora, con una parziale demolizione e ricostruzione, si trasformerà in un edificio moderno per uffici con un piano sopraelevato e una struttura di acciaio e vetro che ne allarga gli spazi lungo la facciata.
E tutto questo, dopo i casi clamorosi dell’ex convento degli anni Venti di via Ticino e di villa Paolina a largo XXI Aprile che spariranno per lasciare il posto a condomini di lusso, succede a piazza Caprera, il set di tanti film, il cuore del quartiere Trieste.
Il permesso a costruire viene richiesto nel 2015 dalla proprietà, la Prim Immobiliare, usando il grimaldello del Piano Casa della Regione che permette, in questi casi, in deroga agli strumenti urbanistici comunali, un aumento della cubatura e una modifica della destinazione d’uso: precisamente, per uffici e una palestra.
L’ultimo via libera è rilasciato nel 2017 dal dipartimento Urbanistica del Campidoglio. E anche se questa volta l’edificio è inserito nella Carta della Qualità, l’operazione ha ricevuto un parere positivo dalla Commissione di valutazione.
Il capitolato sulle tecniche costruttive è istruttivo. Le parti di edificio di nuova costruzione saranno costituite da una struttura portante realizzata con pilastri di cemento armato e solai intermedi in travetti prefabbricati. Mentre gli infissi esterni saranno in alluminio e le pareti delle facciate esterne in parte in vetro e in parte in acciaio. È previsto inoltre un ampliamento costituito da un nuovo volume dal primo al terzo piano. In sostanza, si passa da 830 a 996 metri quadrati. E si dichiara che gli interventi comportano modifiche alla sagoma dell’edificio, al volume (più 20%) e ai prospetti.
In particolare, nel 2016 la Commissione permanente di valutazione del Comune rilascia parere favorevole al progetto con un’unica prescrizione, quella di ” sottoporre alla commissione stessa soluzioni alternative sulla scelta di materiali e colori di finitura”. E pensare che proprio su piazza Caprera si affacciano gli edifici progettati da Gustavo Giovannoni, l’architetto dello stabilimento della Birra Peroni nella zona di via Alessandria.
“È un progetto” afferma Nathalie Naim, consigliere del I Municipio ” che violenta il paesaggio e distrugge la bellezza della piazza, nonostante l’edificio, uno dei pochi, ricada nella Carta della qualità. Dunque non si capisce come mai la Commissione di valutazione abbia potuto dare un parere favorevole. Come è possibile che si possa modificare in modo così radicale, senza un parere della soprintendenza di Stato, una parte della città storica nonostante, come afferma l’articolo 136 del codice del Beni culturali, siano tutelati i “complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale”? È necessario che la nuova legge sulla casa escluda esplicitamente i quartieri della città storica come il ” quartiere Caprera”, che nacque come ” case e alloggi per impiegati”, come è scritto nella richiesta di costruire degli inizi del secolo scorso”. (da “La Repubblica”)
Per saperne di più: roma.repubblica.it/cronaca/2018/01/29/news/roma_scempio_in_piazza_caprera_dal_liberty_al_vetrocemento_ruspe_sul_villino_sotto_tutela-187529960/
A Palazzo Montecitorio inaugura la mostra “Testimoni di civiltà”
Da martedì 23 gennaio la “Sala della Lupa” di Palazzo Montecitorio, ospiterà la mostra dal titolo “TESTIMONI DI CIVILTÀ – L’art. 9 della Costituzione. La tutela del patrimonio culturale della Nazione”, promossa con il sostegno della Camera dei Deputati ed organizzata dal Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, in collaborazione con il Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo.
Si trarra di una iniziativa che intende celebrare il settantesimo anniversario dell’entrata in vigore della Legge Fondamentale dello Stato Italiano, attraverso l’esposizione di un’importante selezione di opere recuperate da questo Reparto Speciale dell’Arma dei Carabinieri, a seguito di attività investigative, dell’azione della “Diplomazia culturale” o delle operazioni di messa in sicurezza del patrimonio culturale colpito dagli eventi sismici del 2016 che hanno interessato l’Italia centrale.
La mostra rappresenta inoltre un’occasione che permetterà di illustrare la poliedricità dell’azione di tutela e di salvaguardia che l’Arma dei Carabinieri svolge in sinergia con le articolazioni centrali e periferiche del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo.
In esposizione 14 importanti opere, tra le quali spicca il carro di Eretum, per la prima volta esposto in Italia dopo il recente rimpatrio dalla Danimarca. Scavato clandestinamente in Sabina nei primi anni ’70, è stato recuperato a seguito di riscontri investigativi e scientifici nell’ambito delle attività di diplomazia culturale. Potranno anche essere ammirati il noto gruppo scultoreo “Triade Capitolina”, rinvenuto negli anni ’90 nel corso di scavi clandestini nonché la grande tela d’altare di Giovan Battista Tiepolo della chiesa di San Filippo Neri di Camerino, messo in sicurezza a seguito dei drammatici eventi sismici che si sono verificati in Italia nel 2016.
La mostra sarà aperta al pubblico, con ingresso libero, dal 24 gennaio al 28 febbraio dalle ore 10 alle ore 18 (apertura dal lunedì al venerdì) con entrata da piazza Montecitorio.
(da “Artemagazine”)
Per ulteriori informazioni: http://www.camera.it/leg17/1132?shadow_primapagina=7673
L’arte del maestro giapponese Hiroshige in mostra a Roma da marzo 2018
L’arte del grande maestro giapponese Hiroshige in mostra a Roma alle Scuderie del Quirinale da marzo 2018
Dopo il successo della mostra su Hokusai all’Ara Pacis, la Capitale si prepara ad ospitare un altro grande maestro, che ha messo al centro della sua visione il paesaggio e la natura: si tratta di Utagawa Hiroshige, a cui le Scuderie del Quirinale dedicano a marzo una grande retrospettiva con una selezione di circa 230 opere.
Utagawa Hiroshige, meglio noto come Hiroshige (Edo, 1797 – Edo, 12 ottobre 1858) è stato un incisore e pittore giapponese. Fu allievo di Utagawa Toyohiro (1773-1829 circa) e studiò lo stile occidentale introdotto dal fondatore della scuola Utagawa, Toyoharu (1735-1814). Assieme a Hokusai è considerato uno tra i principali paesaggisti giapponesi dell’Ottocento e fra i più celebri rappresentanti della corrente artistica Ukiyo-e. La produzione artistica di Hiroshige annovera diversi generi, tra cui stampe di attori, guerrieri, cortigiane, ma l’oggetto principale della sua arte fu la natura nelle sue molteplici espressioni. La contemplazione della natura e la successiva rappresentazione in chiave morfologicamente armonica, è ciò che distingue Hiroshige dagli altri pittori-incisori del suo tempo, creando una dialettica tra il finito e l’infinito, ossia il sentimento umano scaturente dall’ascolto quasi religioso della natura e il respiro del cosmo (da Romeguide).
Per saperne di più sul maestro Hiroshige: https://it.wikipedia.org/wiki/Utagawa_Hiroshige
Villa Medici si illumina di notte. A Roma c’è la prima edizione del Festival di Luci
Con il Festival des Lumières (Festival di Luci), nuovo format di installazioni temporanee inaugurato dalla mostra Ouvert la nuit in corso fino al 28 gennaio, l’Accademia di Francia a Roma ha aperto, per la prima volta, le porte ad un’esposizione notturna nei celebri giardini di Villa Medici. Il progetto nasce da un’idea della direttrice Muriel Mayette-Holtz ed è a cura di Chiara Parisi. “L’idea è quella di utilizzare il grande spazio scenico che Villa Medici rappresenta nell’immaginario della città”, ha spiegato la Parigi, “ma anche giocare con l’immaterialità della luce e con lo splendore dell’oscurità. Il titolo Ouvert la Nuit fa riferimento alla raccolta di racconti di Paul Morand, in cui ogni storia è ambientata in una notte e in un luogo diversi; all’imbrunire il visitatore entra sulla scena e interagisce con le opere d’arte che gli si presentano davanti. Un progetto notturno e misterioso, costruito insieme ad artisti di diverse generazioni e realizzato in grande libertà. Per ognuno degli artisti, i giardini si sono rivelati un rifugio per sviluppare o rielaborare creazioni inedite ed eccezionali”. Composto da sedici carré, il giardino di Villa Medici si presenta così come un labirinto vegetale strutturato dalle siepi in cui i diciassette artisti – Rosa Barba, Camille Blatrix, Christian Boltanski, Nina Canell & Robin Watkins, Maurizio Cattelan, Trisha Donnelly, Jimmie Durham, Elmgreen & Dragset, Félix González-Torres, Douglas Gordon, Joan Jonas, Hassan Khan, Lee Mingwei, François Morellet e Otobong Nkanga – hanno immaginato le loro opere. Ecco una selezione di installazioni da non perdere.
Da “Art Tribune”
Per approfondire: https://www.villamedici.it/mostre/ouvert-la-nuit-festival-des-lumieres/