Signore e signori, ecco a voi l’Olio di Adriano, cioè del grande Imperatore che regalò a Roma — col suo regno tra il 117 e il 138 dopo Cristo — il periodo più prospero e probabilmente felice della sua lunghissima storia, il raffinato intellettuale narrato ai contemporanei dalla fantasia poetica di Marguerite Yourcenar. Un olio di alta gamma che nasce dai 3500 ulivi plurisecolari (i più «giovani» contano 200 anni) piantati nei 40 ettari della magnifica Villa di Adriano a Tivoli, dichiarata nel 1999 Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco, un insieme unico di residenze, terme, ninfei, padiglioni. All’inizio di novembre c’è stata una prima raccolta e sono state sigillate, in via sperimentale e in vista di una più capillare organizzazione l’anno prossimo, 78 bottigliette numerate e destinate alla vendita nel book shop.
L’idea è di Andrea Bruciati, storico contemporaneista (conoscitore di Lucio Fontana e Piero Manzoni) ma dal maggio 2017 nominato, con la riforma Franceschini, direttore dell’Istituto Autonomo Villa Adriana e Villa d’Este (600.000 visitatori quest’anno) un tesoro d’arte tra romanità e Rinascimento che include anche il Santuario di Ercole Vincitore del II secolo avanti Cristo e la Mensa Ponderaria, ovvero la pesa pubblica, dell’antica Tibur, l’antenata romana di Tivoli: un vero Polo Tiburtino alle porte della Capitale, ad appena 28 chilometri da Roma. Spiega Bruciati: «Ho sempre pensato a Villa Adriana e a Villa d’Este non solo come meravigliosi beni artistici e paesaggistici ma anche come luoghi della formazione complessiva dell’individuo impegnato nella visita, per un turismo consapevole e basato sulla lentezza, lontano dal mordi e fuggi. C’è, nella cura di quei tesori, una responsabilità che va al di là della semplice gestione e prefigura per esempio un lavoro di ripristino col contesto territoriale. La nostra strategia è recuperare il senso e la bellezza del paesaggio antropizzato, cioè “utilizzato” dall’uomo».
L’uliveto è parte essenziale del dna della Villa di Adriano, profondamente fuso con i monumenti architettonici, la loro storia, il loro stesso significato. «Salvaguardare il bene artistico-culturale significa tutelare non solo il paesaggio ma anche l’aspetto agropastorale che in qualche modo ne è l’anima — continua Bruciati —. Sostenere l’olio locale con un gesto come il nostro significa aderire allo spirito del luogo: l’uliveto non può essere solo uno sfondo della Villa perché fa parte integrante della sua percezione, del suo posto nell’immaginario collettivo di milioni di persone». Un discorso parallelo, spiega Bruciati, verrà fatto per villa d’Este, altro Patrimonio dell’Umanità Unesco, capolavoro del Rinascimento italiano voluto dal cardinale Ippolito II d’Este per consolarsi della mancata elezione al Papato. Lì tra fontane e ninfei, grotte e giochi d’acqua nell’area degli orti verrà creato un piccolo vigneto autoctono di uva «pizzutella», come viene chiamata per i suoi chicchi oblunghi (nel dialetto romanesco-laziale «pizzuto» significa «appuntito»).
Dice il direttore Bruciati: «Non ci sarà produzione ma solo la sottolineatura di ciò che nasce dal territorio. Purtroppo i proprietari agricoli locali tralasciano l’uva pizzutella di Tivoli, famosissima non solo in Italia, perché la produzione vinicola rende di più. Ma così si rinuncia a una parte di storia e identità. Coltivando noi quell’uva, come l’Olio di Adriano, indichiamo un futuro sostenibile, stringendo un legame con la gente del posto e inviando un complessivo messaggio positivo nato dal nostro Patrimonio». Messaggio che si articola, conclude Bruciati, anche in un nuovo tipo di offerta: «Abbiamo recuperato tanti luoghi prima inaccessibili, ampliato gli orari e le giornate di visita, ora il lunedì siamo sempre aperti. Siamo impegnati in un rinnovamento parallelo di due luoghi solo apparentemente distanti tra loro ma in realtà accomunati dal legame con Tivoli e dal loro comune destino, a distanza di secoli, di magnifiche Regge». (da “Il Corriere della Sera”)
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