Si intitola «Labirinti del cuore. Giorgione e le stagioni del sentimento tra Venezia e Roma nel ’500» (catalogo Prismi) la mostra voluta dal Polo Museale del Lazio con doppia sede a Palazzo Venezia e Castel Sant’Angelo, a cura di un esperto come Enrico Maria Dal Pozzolo, già co-curatore con Lionello Puppi e Antonio Paolucci della mostra su Giorgione nella natia Castelfranco per i 500 anni dalla morte (2009).
Tutto ruota attorno al «Doppio ritratto» della collezione del Museo Nazionale di Palazzo Venezia. Qui, nella sede diplomatica della Serenissima a Roma costruita dal veneziano Pietro Barbo,
dal 24 giugno al 17 settembre si segue un tema che, per quanto minoritario di un genere, indica «che il “Doppio ritratto” cosiddetto Ludovisi, rispetto a tutto ciò che conosciamo della ritrattistica non solo veneta ma italiana tra Quattro e Cinquecento, inaugura un filone iconografico che è quello della ritrattistica dei sentimenti, degli stati d’animo, ben diverso dalla ritrattistica psicologica quattrocentesca», spiega Dal Pozzolo. Un tema che lega insieme, riprendendo una tesi proposta nel 1983 da Alessandro Ballarin, Giorgione, Petrarca, il pensiero neoplatonico e il circolo veneziano di giovani patrizi detto Compagnia degli Amici, di cui faceva parte Pietro Bembo, non a caso curatore nel 1501 per Aldo Manuzio della prima edizione filologica delle Rime di Petrarca, in mostra.
Tre i Giorgione presenti: quello di Palazzo Venezia, che il curatore ritiene autografo anche perché, per quanto del pittore non esistano certezze assolute, ci sono buoni indizi e nuovi elementi, per esempio sulla provenienza; l’«Omaggio al Poeta» della National Gallery di Londra; una delle due tavolette dai Musei Civici di Padova, che deriva da un cammeo già di papa Barbo. Ma la mostra è preziosa per tanti motivi: perché la tesi è di grande interesse e portata avanti con rigore, perché accosta prestiti da grandi musei e collezioni aristocratiche e perché inanella pezzi rari e molti inediti. Ci sono il confronto tra Venezia e Roma, gli affondi su papa Paolo II Barbo e Domenico Grimani, collezionista e committente del pittore, l’evoluzione tipologica del ritratto fino a Giorgione (con Gentile e poi Giovanni Bellini, l’influenza di Antonello, un doppio ritratto dal Louvre), l’iconografia della melanconia, l’eredità della rivoluzione giorgionesca, per esempio con il ritratto di Tiziano dalla Galleria Spada messo accanto all’incisione di un perduto Giorgione già nella raccolta di Leopoldo Guglielmo d’Asburgo. A Castel Sant’Angelo il percorso riunisce dipinti e trattati sul tema dell’amore, la fortuna e il mito di Petrarca, le «stagioni» di questo sentimento e la sua comunicazione attraverso la musica, i simboli e la nudità femminile. Anche qui con pezzi unici, come il «Ritratto di vedovo» dagli appartamenti privati dei principi Doria Pamphilj, considerato di Giorgione nella Roma del cardinal Aldobrandini (1571-1621), da cui viene anche una tela di Sofonisba Anguissola. In tutto 45 dipinti, 35 tra libri e manoscritti, una ventina di sculture, due cammei e otto tra stampe e disegni. (da “Il Giornale dell’Arte”)